Il paradiso degli animali, David James Poissant.
Prima
Come ho trovato il Paradiso degli animali di David James Possant, NN Editore?
Un giorno ho deciso di iscrivermi ad un Book club, precisamente il Bookeater Club di Zelda was a writer.
Perché mi piace lei, il suo blog, le sue fotografie, e mi piaceva l’idea di fare una nuova esperienza, quella di un club del libro, dove tutti leggono lo stesso libro e poi ne parlano tutti insieme, e si scambiano le loro impressioni.
Dove persone, anche perfettamente sconosciute, sono accomunate dal fatto di condividere una lettura, ed hanno quindi un legame forte, senza sapere niente l’una dell’altra.
Per il mese di Novembre c’era questo libro qui: Il paradiso degli animali, di David James Poissant.
Non ne sapevo niente, mai visto prima, mai sentito nominare da nessuno, né visto per caso in libreria.
L’ho comprato, quindi, perché volevo incominciare con il piede giusto la mia nuova attività di bookeater, e perché mi piaceva l’idea di lasciarmi guidare da qualcuno nella scelta di un libro.
Durante
All’inizio ero titubante, non era esattamente il mio genere di lettura: una raccolta di sedici racconti, ambientati nelle atmosfere un po’ inquietanti della provincia americana, con questa idea degli animali come metafora di rapporti e relazioni.
Poi, ho aperto il libro e ho letto il primo racconto dal titolo “L’uomo lucertola”.
Ed è stata una specie di folgorazione.

I racconti sono tutti, ma proprio tutti, di una bellezza stilistica e di una intensità incredibile.
E’ un libro che attrae e respinge nello stesso tempo, perché i temi affrontati sono profondi e, dato che trattano in maniera molto diretta delle relazioni umane, toccano tutti.
Ma proprio in questo sta uno dei pregi del libro, cioè nel fatto di suscitare emozioni, anche scomode.
Io, ad esempio, uno dei racconti “La geometria della disperazione. Diagramma di Venn”, non sono riuscita a leggerlo, per via del tema trattato, cosa che mi ha fatto riflettere sul tipo di coinvolgimento emotivo che l’autore è in grado di suscitare.
E’ un libro che può piacere o meno, che in certi momenti si ama e in certi si odia, ma che difficilmente lascia indifferenti.
E’ un libro di racconti, diversi l’uno dall’altro, per contenuto, lunghezza, ambientazione, musicalità, ma in qualche modo tutti connessi tra loro.
I racconti de Il Paradiso degli Animali
I racconti sono tutti incentrati sui rapporti tra gli esseri umani, quelli tra genitori e figli, amici, amanti, mariti e mogli, fratelli, vicini di casa, descritti nel loro momento più critico, che poi è quello in cui si devono prendere delle decisioni determinanti, alle quali, la maggior parte delle volte, non si è minimamente preparati.
Ma tutti i rapporti descritti, colti nella loro drammaticità, conservano sempre un filo di speranza, quello che ci sia comunque una seconda possibilità, almeno per chi resta.
Gli animali (api, coccodrilli, cani, bufali, scoiattoli, gatti), sono un elemento della narrazione, non tanto ben definibile.
A volte sono simboli, a volte sono personaggi veri e propri, a volte sono metafore di qualcosa, a volte sono la esemplificazione schematica degli stessi rapporti umani, come chiaramente espresso nella poesia di James L. Dickey, che dà il titolo al libro, e che viene riportata nella controcopertina: “sotto l’albero/cadono/sconfitti/si rialzano/si rimettono in cammino”; cosa che, come indicato sempre nella prefazione “è quello che tutti tentiamo di fare”.
Qualche esempio
C’è “l’Uomo Lucertola” del primo racconto, lo sciame di api de “La fine di Aaron”, il cane di “Io e James Dean”, il bufalo de “L’ultimo dei grandi mammiferi terrestri”, “Il Lupo”; ma anche nei racconti in cui non c’è un animale ben delineato, c’è questa idea dell’animalità che traspare sempre, in tutti i comportamenti umani.
Ancora una precisazione.
Ora, il racconto è diverso dal romanzo.
Il romanzo è lungo, può permettersi delle pause, dei momenti in cui il ritmo rallenta e poi riprende; il racconto no, ti deve tenere inchiodato lì per tutto il tempo e darti in poche pagine tutta l’escalation che serve per iniziare, capire, immedesimarsi, emozionarsi, concludere, finire.
Quindi, o ce la fa, o non ce la fa.
Ma David James Poissant ce la fa, eccome se ce la fa; ce la fa talmente bene che per una settimana non sono riuscita a separarmi fisicamente da questo libro, che ho dovuto ripetermi tre volte, prima di crederci, che questa è la sua opera d’esordio, che non sono riuscita a decidere quale è il racconto che mi è piaciuto di più, da tanto li ho amati tutti, che non vedo l’ora che ne scriva un altro, che a un certo punto ho costretto una mia amica a comprarlo per leggerlo anche lei mentre lo leggevo io, in modo da poterne parlare subito con qualcuno.
Lo stile è essenziale, come quello di Raymond Carver, senza sbavature, senza una parola di più né una di meno di quelle che occorrono.
Dopo

Poi, dopo avere letto il libro, ho partecipato alla riunione del Bookeater Club di Novembre, che si è tenuta a Milano, presso Casa Microsoft.
E lì ho appreso un sacco di cose in più su questo testo (oltre a scoprire come e quanto la semplice lettura di un libro, specialmente quando è così intenso, unisca persone anche perfettamente sconosciute e crei sinergie tra di loro).
Una lettrice acuta ha osservato che la parola chiave di questo libro è Perdono, ed è assolutamente vero.
E’ il non detto che accomuna tutti i racconti, è un perdono cercato, a volte concesso, a volte negato, verso se stessi, o verso gli altri, è il perdono che costituisce uno dei temi più difficili da affrontare per uno scrittore, proprio perché non ha una risposta univoca.
Esiste il perdono? E’ giusto perdonare? E’ possibile farlo? Ma soprattutto, la parola scusa ne è condizione imprescindibile oppure no? Si può perdonare qualcuno che non lo chiede? E se sì, perché farlo?
Ecco gli interrogativi che restano dopo avere letto Il Paradiso degli animali, grande capolavoro di equilibrio tra le parole, i concetti, le immagini trattate, dove ciascuno, in fondo, prima o poi, ad un certo punto della lettura, è costretto a riconoscersi.
E soprattutto esiste il perdono verso sé stessi? ci si può perdonare di vivere vite imperfette? si può vivere ogni giorno senza quella “paura degli esseri umani di essere umani” (cit. da un intervento di sabato)? cadere e rialzarsi come fanno gli animali della poesia da cui trae il titolo il libro? o come fanno i bambini quando imparano a camminare (il mio preferito è “Il bambino che brilla”:-)
si può, si può!
[comunque io ce l’ho ancora in borsa e non riesco a riporlo, conto di farcela entro la fine della settimana 🙂 ]
E’ vero Ale, come molte altre volte mi hai costretto.
In questo caso a leggere il libro. O meglio non sono riuscita a rimanere indifferente al tuo entusiasmo.
Alcuni racconti mi hanno conquistato, l’ultimo l’ho abbandonato a metà.
E’ troppo forte in me il timore di non arrivare in tempo (sensazione che, a mio avviso, permea tutto il libro, ma in particolare modo l’ultimo brano).
Ed ora che si legge?
Rosa, preparati psicologicamente, o mia vittima prediletta …
Silvia! Anche io non riesco a metterlo via … quante cose in comune …