Premessa

Mio marito entra in casa e annuncia trionfale: “È deciso: anche quest’anno, ad Agosto, facciamo un bel viaggio negli U.S.A. con i bambini; direi Washington, San Francisco, Yosemite Park, Seattle, Portland Oregon (così andiamo a trovare la tua cara amica), e infine NYC, con qualche giretto negli Hamptons”.

Nella stanza esplode l’euforia; i bambini iniziano a calcolare che ore saranno in tutti questi posti (il tema del fuso orario piace sempre moltissimo), mentre io cerco di fare mente locale sul numero di aerei che dovremo prendere – ogni volta che ne prendo uno, devo fare un mese di training autogeno – e sul numero di valigie che dovremo portare, visto che siamo in cinque e stiamo via quasi un mese.

Ma vengo subito rassicurata: “Portiamo solo due o tre magliette a testa e poi facciamo un sacco di bucati nelle lavanderie a gettone”.

Ed eccoci, dopo un numero imprecisato di documenti, e una serrata trattativa sui bagagli, in cui riesco a spuntare l’aggiunta del trolley di Saetta McQueen da cui il folletto piccolo non intende prescindere, finalmente sul suolo americano dove alcune cose, nonostante il passare degli anni e una certa familiarità ormai acquisita, non smettono di stupirci e di farci sorridere.

Whashington

Washington è caldissima, e molto umida (ci credo, è Agosto) e, quindi, come prima cosa, cerchiamo un po’ di refrigerio nel primo fast food che incrociamo.

All’interno, la temperatura è da circolo polare artico e l’escursione termica tra esterno (trentacinque) e interno (quindici) è di circa venti gradi; ci copriamo, come meglio riusciamo, con felpe e sciarpette varie, ma la cameriera, alquanto stupita, ci serve subito cinque enormi bicchieri di acqua stracolmi di ghiaccio, tanto per essere sicura che ci venga una bella congestione.

Il bicchiere con il ghiaccio va accettato sempre: è una forma di saluto di benvenuto e viene sempre servito con grande entusiasmo; inutile anche tentare di svuotarlo da qualche parte, ci rimangono malissimo (e comunque te lo riportano).

Dopo molti pranzi e molte cene capiamo che si possono ottenere parziali risultati ripetendo ossessivamente (ancor prima di sedersi), con espressione mista tra il supplichevole e l’autoritario “please, no ice”; “never”; “anywhere”; “no, no, no”; “nothing”.

Gli enormi bicchieri di acqua ghiacciata arrivano comunque, ma, per lo meno, senza la tonnellata di cubetti dentro.

Ma non è tutto.

La fissazione degli americani per il freddo d’estate è pari soltanto a quella che gli stessi hanno per il caldo d’inverno.

Esistono locali frequentatissimi, dove, per entrare, bisogna indossare la pelliccia (fornita dal locale) perché la temperatura è sotto zero e la sensazione promessa è quella della visita al polo nord.

Un giro in Centro

Il centro di Washington è bello, e molto ordinato: la Casa Bianca è bianchissima (da noi sarebbe grigia) e il fiume Potomac è azzurro (da noi sarebbe giallino); i monumenti sono tutti puliti e ben tenuti, e bandiere a stelle e strisce sventolano ovunque.

Compriamo modellini di tutto (il secondogenito, di anni sette, ha la mania dei souvenir; più sono trash e più gli piacciono). Da vero amante dei souvenir, non li vuole piccoli e discreti ma grossi e pacchiani, se no che gusto c’è?

Con estenuante contrattazione riusciamo a limitare l’acquisto dei suvenir di Washington a Casa Bianca e Campidoglio oltre, naturalmente, a una bandiera americana di media grandezza, con tanto di piedistallo, che ci trasciniamo dietro per tutta la vacanza e posizioniamo in ogni angolo, come dei colonizzatori al contrario.

Riusciamo a fagli posare una tazza di ceramica pesantissima con l’effige del Presidente Obama, ma dobbiamo promettergli in cambio che faremo incetta di monumenti adeguati anche in tutte le altre città che visiteremo dopo Washington.

Cosa che, ovviamente, comporterà l’acquisto di una valigia supplementare, essendo il trolley di Saetta McQueen già completamente saturo dopo la prima tappa (per leggere il seguito clicca qui.